2 Giugno 2014

Arrestato il presunto autore dell’attentato antisemita nel museo ebraico a Bruxelles

Fonte:

la Repubblica

Autore:

Anais Ginori

Mehdi, il lupo solitario convertito in cella così gli jihadisti francesi spaventano l’Europa.

Nemmouche era finito in carcere per piccoli reati e per rapina. I parenti: “Non frequentava la moschea”

Da Tolosa a Bruxelles con la stessa feroce determinazione. Un percorso criminale spaventosamente analogo, l’indottrinamento all’odio e la preparazione militare che di nuovo si fa beffa dei servizi di intelligence. Mehdi Nemmouche ha molti punti in comune con Mohamed Merah, il giovane che nel marzo 2012 aveva ucciso prima due soldati, poi il rabbino Jonathan Sandler e tre bambini davanti alla scuola ebraica di Tolosa. Subito dopo la strage nel museo ebraico a Bruxelles, il 24 maggio, molti investigatori avevano ripensato all’attentato davanti all’istituto Ozar Hatorah di quattro anni prima.

L’arresto di Nemmouche conferma i sospetti ma amplifica le paure. Per la seconda volta in pochi anni la Francia vive un’altra primavera nera, si scopre impotente davanti al nemico interno. Il ragazzo di Roubaix fermato per caso dalla polizia era noto ai servizi segreti francesi, come Merah. Anche lui era pregiudicato, condannato settevolte per rapine altri piccoli reati. Aveva passato in carcere quasi cinque anni. E’ in prigione, come Merah, che si è radicalizzato. «Non riusciamo a capire, siamo esterrefatti» hanno commentato i parenti del ragazzo, cresciuto dai servizi sociali. «Non era religioso, non frequentava la moschea» ha aggiunto una zia. Una traiettoria tipica, ha sottolineato ieri François Molin, il procuratore di Parigi. E’ tra le sbarre, e non più solo nelle moschee, che si compie oggi il proselitismo. I nuovi jihadisti si convertono alla guerra santa tra le sbarre.

“Lupo solitario”. “Cane sciolto”. E’ così che gli investigatori definiscono Nemmouche, riprendendo la stessa terminologia usata per Merah. Il ragazzo di Roubaix, 29 anni, era stato schedato dall’intelligence. Nel 2013 parte da Londra per la Siria, via il Libano. Quando torna nel marzo scorso viene fermato a Francoforte. Per depistare le autorità europee ha compiuto un lungo tragitto, passando da Malesia, Thailandia, Hong Kong. Un viaggio che lo porta indisturbato fino al museo ebraico di Bruxelles, ben armato e con un piano studiato nei minimi dettagli.

Né Merah né Nemmouche hanno mai lavorato ed è difficile capire, se davvero erano così “solitari”, come abbiano potuto finanziare i loro pellegrinaggi internazionali e poi i loro attentati. Il killer di Tolosa, 24 anni, era andato in Afghanistan, Siria, Libano, Egitto, Palestina. Nella casa assediata dalle squadre speciali, Merah aveva un arsenale composto da fucile a pompa, pistole automatiche e mitragliatori. Nella borsa di Nemmouche sono stati trovati un kalashnikov e una pistola. Come Merah, che aveva filmato il suo assalto e inviato un video di venti minuti ad Al Jazeera, il ragazzo di Roubaix portava con sé una telecamera GoPro quando ha ucciso quattro persone a Bruxelles. In un filmato ritrovato dagli investigatori lo si sente dire: «Peccato che la mia telecamera non si sia accesa in azione». Merah si era coperto il volto, indossando il casco durante le sparatorie, mentre Nemmouche è entrato nel museo ebraico a volto scoperto, con un cappellino. L’unica differenza, in questo identico scenario dell’orrore, è che Merah è morto durante l’assedio delle forze speciali, mentre il killer di Bruxelles non ha opposto resistenza alle autorità.

La Francia ha il contingente di jihadisti più numeroso del continente, oltre 500 partenze accertate da quando è cominciato il conflitto in Siria. Merah e Nemmouche erano schedati, osservati, seguiti. Ma la rete pronta ad accoglierli in Europa fornisce loro ospitalità e alloggio in paesi diversi da quello di partenza, nuovi telefoni cellulari e contatti strategici. Per l’ intelligence, è come cercare un ago nel pagliaio. Ad aprile, il governo ha presentato un piano anti-jihad con la creazione di un numero verde per segnalare persone sospette. Una sessantina di casi sono già stati esaminati. L’intelligence francese è di nuovo sotto accusa, nonostante alcuni dirigenti. ricordino le numerose cellule di terroristi bloccate negli ultimi anni. E’ come per le ferrovie, nessuno parla dei treni che arrivano in orario» ironizza Frédéric Pechenard, capo della polizia nazionale fino al 2012. Gli uomini della Dgsi, i servizi interni francesi, reclamano da tempo una normativa più severa, sul modello americano, per poter fermare i presunti sospetti. ll nuovo fallimento dell’ antiterrorismo riapre ora il braccio di ferro sui poteri dell’intelligente.