9 Ottobre 2010

La rabbia di Budapest sfida l’intero Occidente

Fonte:

Il Sole 24 Ore

Il movimento Jobbik all’attacco di rom ed ebrei

Successo in tempo di crisi
Pil fermo e disoccupazione
danno forza alle critiche
Contro i partiti tradizionali
L’estrema destra con il 17%
è la terza forza del paese

di Luca Veronese

Budapest. Dal nostro inviato

“Tiszavasvari sarà la nostra capitale. Lì mostreremo all’Ungheria, all’Europa e al mondo, come sappiamo governare, faremo vedere come noi dello Jobbik affrontiamo senza paura i problemi della gente comune”. Per Gabor Vona – 32 anni, leader indiscusso del Movimento per un’Ungheria migliore, lo Jobbik Magyarországért Mozgalom – “non serviranno i consigli di Bruxelles o di Washington, ma dovremo ascoltare con attenzione i nostri fratelli, capire i loro bisogni e non soffocare la loro voce come hanno fatto i governi, locali e nazionali, degli ultimi vent’anni”.
Tiszavasvari, 15mila abitanti nella campagna orientale dell’Ungheria. Tetti spioventi, una chiesa bianca, alberi e chilometri di campi verdi, è uno dei centri principali al confine con la Romania. Qui gli uomini, anche quelli più giovani, hanno facce serie, d’altri tempi, e le donne indossano abiti colorati e tristi, real folk: in massa, alle amministrative di una settimana fa, hanno votato per lo nuova destra, consegnano allo Jobbik – che ha guadagnato consensi in tutte le province – il primo sindaco di peso della sua breve storia.
Nazionalisti, statalisti, arrabbiati neri contro le multinazionali, il Fondo monetario, l’Unione europea, la Nato e l’Occidente. Conservatori, cristiani dichiarati. Razzisti con la minoranza rom – Tiszavasvari potrebbe diventare il primo comune rom-free del mondo – e con gli ebrei. Rivoluzionari, a loro modo, contro i socialisti, eredi del partito comunista rimasto sotto le macerie del Muro di Berlino, ma anche contro i populisti del Fidesz, il partito che ha preso in mano il paese in aprile.
“Facciamo paura perché affrontiamo questioni scomode parlando direttamente agli ungheresi”, dice Marton Gyongyosi, 33 anni, leader nazionalista alla Camera. “A cosa hanno portato – chiede con toni pacati ma fermi – le privatizzazioni sfrenate, la deregulation e tutte le politiche che ci sono state imposte da Bruxelles e dagli stati Uniti? Perché dobbiamo agevolare gli investimenti delle multinazionali che ci sfruttano per fare profitti invece di sostenere le nostre imprese che creano lavoro? Cosa c’è di sbagliato nel denunciare i crimini commessi dai rom, nel chiedere che i rom accettino le regole della nostra società? Perché non possiamo ribattere al presidente israeliano Shimon Peres che, nell’ottobre del 2007, di fronte agli uomini d’affari di Tel Aviv spiegava come gli ebrei stiano “comprando l’Ungheria” con una “moderna colonizzazione”, senza armi e con dollari a palate?”.
Già nel 2006 il default era stato evitato solo da un prestito di 20 miliardi di euro accordato da Fmi e Ue. Dal 2008 la crisi economica e finanziaria ha aggredito l’Ungheria quando da tempo il paese era stato superato dall’Asia come fornitore di manodopera a bassi costi, senza trovare una nuova strategia industriale. Nel 2009 il Pil è crollato del 6,3%, quest’anno l’economia resterà ferma, per cominciare solo nel 2011 una timida ripresa. La disoccupazione è stabile sopra il 10 per cento. L’inflazione al 6% si mangia gli stipendi.
Con le difficoltà economiche si sono moltiplicate le tensioni sociali. Dieci milioni di tranquilli cittadini educati alla rassegnazione si sono trasformati in un’onda di protesta. Il premier del Fidesz Viktor Orban gioca con abilità con le rivendicazione dello Jobbik che da parte sua ha oggi almeno due milioni di sostenitori e simpatizzanti. “Sono cittadini frustrati da anni di corruzione, di malgoverno. Disillusi, difficili da mettere a destra o a sinistra: non sono guidati dall’ideologia ma dalle necessità quotidiane”, dice ancora Gyongyosi. Nel 2002 gli Jobbik non erano niente, nel voto di quattro anni dopo si sono fermati al 2% senza entrare in parlamento. Alle elezioni europee del 2009 hanno ottenuto il 15% e tre seggi a Strasburgo, anche grazie al volto gentile di Krisztina Morvai. Alle politiche di primavera sono diventati la terza forza del paese con il 17% dei voti e 47 deputati.
“Troppo facile accusarci di populismo e razzismo. L’Ungheria ha specificità che nella capitali europee stentano a cogliere. Noi Jobbik abbiamo poco a che spartire con l’N-va in Belgio o con Wilders in Olanda”, dice Gyongyosi, lui che con vent’anni vissuti in giro per il mondo al seguito del padre tecnico del ministero degli Esteri e una laurea al Trinity College di Dublino è forse la faccia più pulita e aperta che lo Jobbik possa mostrare.
Poi nelle occasioni speciali – come quando ricordano la Grande Ungheria – mostrano la faccia aggressiva della Magyar Garda, i miliziani magiari fedelissimi dello Jobbik, costretti a camuffarsi dopo essere stati dichiarati fuori legge, ma sempre da brividi ai raduni con i loro simboli pseudo-nazisti.
Anche per le comunali di qualche giorno fa lo Jobbik ha colpito, senza remore, alla pancia della gente; in uno spot spedito dal partito sui maggiori canali televisivi nazionali una ragazza impaurita si chiede perché “gli zingari possono fare quello che vogliono”, mentre in sottofondo si fa riferimento agli “zingari criminali” e ai “parassiti dell’Ungheria”. A Tiszavasvari come in tutta l’Ungheria la linea dura continua a pagare.